Sul racconto

  “E allora può capitare che un bel momento resti una parola – il cui significato ci è vagamente chiaro – e scompaiano i limiti entro cui assume senso. Una di queste parole è racconto.”

Maurizio Vicedomini, Sul racconto. Calvino, Cortazar, Hemingway James, Wallace, Les Flaneurs Edizioni, 2019

  L’intento manifesto di questo breve saggio di Maurizio Vicedomini (Sul racconto. Calvino, Cortazar, Hemingway, James, Wallace, Les Flâneurs Edizioni, 2019, pp. 162) è quello di fare chiarezza, per quanto sia possibile, sulle declinazioni, sulle sfumature, ma anche sulle storture, che il termine racconto ha subito finora, sia in ambito critico che editoriale. “La mancanza di una definizione precisa – ci dice infatti l’autore nelle prime pagine, – (…) genera incoerenze, incomprensioni, false attribuzioni. Non sappiamo, in fin dei conti, di cosa stiamo parlando“. Da qui l’esigenza di pervenire innanzitutto a una spiegazione sensata di questa parola, che consenta al contempo di rinvenire delle linee guida, premessa necessaria per poter approfondire in seguito, nel dettaglio, alcune riflessioni critiche sulla forma del racconto proposte nell’opera di scrittori molto noti, quali Calvino, Cortàzar, Hemingway, James e Wallace.

  Se la prima e la seconda parte del saggio sono quindi dedicate al tentativo di dare un ordine, lessicale e contenutistico, a questo sostantivo, mettendo sul tavolo i pareri e le voci autorevoli di chi si è interessato finora della questione, anche a livello comparatistico (tentativo peraltro coraggioso e foriero di belle osservazioni, mosso dal desiderio dell’autore di individuare delle caratteristiche implicite che possano permetterci di riconoscere un racconto, ma con un esito in pratica negativo, vista l’impossibilità di accettare formule e definizioni che si rivelano fallaci appena messe alla prova), la terza parte interroga invece quegli autori contemporanei che si sono distinti eccezionalmente nell’uso di questa forma letteraria e che in più pagine, in più occasioni, durante la loro vita, ne hanno tentato una spiegazione teorica, spesso modellandola sulle proprie esigenze “costruttive” e di poetica.

Leggiamo dunque di un Calvino narratore che gioca spesso, a piacimento, sull’ambiguità che attraversa romanzo e racconto, che crea forme ibride di volta in volta diverse, senza sentire alcuna necessità di definirle; di un Cortàzar che vuole mettere in chiaro cosa ha fatto, consapevole però che qualsiasi definizione si dia del racconto non possa che essere in fondo un’approssimazione; di un James che “si adopera poco verso una definizione di racconto” pur avendone scritti più di cento; di un Hemingway sempre molto reticente a parlare delle proprie scelte narrative e della propria scrittura (“significherebbe rubare il lavoro ai critici” ebbe a dire in un’intervista del 1958, confluita poi nel volume Il principio dell’iceberg. Intervista sull’arte di scrivere e narrare) ma che adombra l’idea, quando ci espone il suo metodo di lavoro, di una sostanziale coincidenza tra romanzo e racconto.

Chiude alfine il saggio la quarta parte dedicata all’analisi di un racconto di David Foster Wallace, Piccoli animali senza espressione, che con la sua non-linearità temporale, con l’abbondanza di salti spaziali e causali, e con i bruschi cambiamenti di scena che ricordano molto da vicino il montaggio cinematografico, vuole “annullare una piatta linearità del testo che renderebbe il lettore meno ricettivo e più passivo“, cosa che spesso avviene, invece, quando si accosta alla “nuova” realtà di cui il racconto ci parla, la televisione.

Non si perviene, in conclusione, a una definizione univoca di cosa sia un racconto, a capire cioè se in esso si possa individuare una forma, un genere, una categoria o solo un progetto ad uso editoriale. Sappiamo che si tratta di un qualcosa di convenzionale che, non si sa come, noi riconosciamo ma che, se indagato nel profondo, nella sua essenza vera, potrebbe addirittura sfuggirci e non svelarsi mai. Non ci si stupisca, allora, come ricorda in un passo l’autore, se anche Carver, che di racconti certo se ne intendeva, a tal proposito diceva: “In fondo a chi importa come vogliono definire i racconti che scriviamo? (E chi è che non si è ancora stufato a morte di questa polemica stantia?)

@lesflaneursedizioni.it #mauriziovicedomini #sulracconto

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