Poscienza, intervista a Roberto Maggiani

Poesia e scienza: una relazione necessaria? È la domanda, l’assillo si potrebbe dire, che investe e attraversa questa produzione poetica e che già nel titolo si rivela: Poscienza. Si tratta di un neologismo che cerca di unificare un apparente dualismo, due ambiti, due competenze, due passioni: per la poesia e per la scienza. La lingua della poesia è tipicamente costituita da parole, segni, e di segni è fatta anche la lingua della scienza, che usa essenzialmente il protocollo della lingua matematica. Perché la poesia non dovrebbe potersi propagare a partire da una lingua cesellata su entrambe le suggestioni, quella letteraria e quella scientifica? Tra i temi della poesia troviamo certamente l’amore, da sempre asse portante di moltissimi tra i più noti componimenti in versi, e poi il dolore, la sofferenza, la gioia, la natura; quest’ultima è spesso elemento metaforico del sentire e delle relazioni umane. Ma la scienza, moderna e contemporanea, ci ha consegnato nuovi temi di lavoro poetico. La scienza è vista come chance di novità nella poesia: qui non leggerai poesie ma poscienzìe.

In occasione dell’uscita di Poscienza (Il ramo e la foglia edizioni), raccolta poetica di Roberto Maggiani, ho avuto il piacere di porre alcune domande all’autore. Lo ringrazio a nome della redazione di Postfazioni per la sua cortese disponibilità a rispondere.

Caro Roberto, parliamo innanzitutto della genesi di questa raccolta. Alcune liriche, come tu racconti, risalgono ai primi mesi del 2018.

Sì, certo, alcune, poche, sono precedenti al 2018. Raccolgo in Poscienza testi che sono stati selezionati e cesellati con grandissima cura nel corso di almeno sei anni. Nulla è lasciato al caso, anche la forma è sostanza, in questo caso. C’è una estetica della pagina, non solo un ritmo: i versi cantano ma anche fanno una coreografia nello spazio bianco a loro disposizione. Le poesie di questa raccolta, oltre a essere ascoltate dovrebbero essere guardate. Per fortuna nelle due presentazioni fino ad ora fatte, ho avuto a disposizione uno schermo gigante in cui è stato possibile proiettare le poesie mentre venivano lette. Anche il titolo stesso della raccolta non è a caso, qualcuno mi ha detto: sarebbe stato meglio Po-scienza, qualcuno invece Poescienza; va bene, tutto è plausibile ma c’è un motivo ben preciso per cui ho scelto Poscienza e lo spiego nel libro stesso.

Perché l’esigenza di unire nei tuoi versi le due istanze, quella del sentire poetico e quella del sentire scientifico?

Perché è ciò che mi caratterizza: amo la poesia e amo la scienza, perché non metterle insieme? Detta così sembra una operazione fatta a forza, un lavoro di collage. Non è questo. Mi sono accorto che fin da quando ho iniziato a occuparmi di poesia, e in particolare a scriverla, la mia parte scientifica è entrata, prima soffusamente, poi via via con sempre maggiore evidenza, nei miei versi, a tal punto da definire la mia poetica. Il mondo va vissuto col cuore ma va osservato con intelligenza, ecco allora inevitabili le “ripercussioni scientifiche nel quotidiano poetico”. Per alcuni i concetti scientifici sono da usare come metafora del dire poetico, certo, anche per me, ma io cerco di più, cerco una dimensione che trascenda la metafora. Una unione di due linguaggi che generi qualcosa di altro: forse è la Poscienza?

Hai affrontato il tema del dualismo, di cui hai parlato nel saggio Poesia e scienza: una relazione necessaria? del 2011 (disponibile in formato digitale su LaRecherche.it) e in versi presenti in altre tue raccolte. Possiamo considerare Poscienza in linea con le riflessioni da te espresse in precedenza o c’è stato un ulteriore passo in avanti del tuo pensiero, della tua poetica?

Poscienza è in linea con le mie precedenti riflessioni, tuttavia c’è un’evoluzione nella mia poetica che non è facile da definire, se non mettendo a confronto tra di loro le mie precedenti raccolte (considererei queste: Scienza aleatoria, LietoColle, 2010; La bellezza non si somma, Italic pequod, 2014; e Angoli interni, Passigli, 2018), con questa ultima. Penso di essere riuscito, con Poscienza, finalmente, a imboccare la mia specifica strada. La scienza fa tentativi per creare modelli del mondo che lo descrivano e possano fare previsioni su di esso, ecco, è così anche per la poesia: per me il dualismo è di fatto superato. Ma tutto questo si paga con l’incomprensione, ogni nuova strada rischia di essere mal vista. La mia scrittura in versi, in Poscienza, è diventata non convenzionale.

C’è una tradizione a cui ti senti particolarmente legato, e a cui hai attinto, almeno nelle intenzioni poetiche (nell’introduzione tu citi il De rerum natura di Lucrezio, la Commedia, le Farfalle di Gozzano e la Petite cosmogonie portative di Queneau), o dobbiamo intendere la tua prova come un tentativo del tutto personale di intraprendere una strada nuova, con una propria modalità espressiva?

Non è possibile pensare di essere totalmente sganciati da una tradizione, tuttavia il mio tentativo, durato anni (la mia prima pubblicazione risale al 1998 con le edizioni Gazebo: Sì dopo sì) è stato, da sempre, quello di trovare una mia strada personale e, dunque, inevitabilmente nuova. Durante il percorso ci sono stati errori, emulazioni, ripensamenti, ma alla fine ho imboccato una strada che penso sia la mia specifica modalità espressiva. Sai quando penso di essere riuscito a imboccarla realmente? Quando ho iniziato a pensare di non dovermi preoccupare di quello che pensano gli altri riguardo alla mia scrittura: mi devo divertire. Ecco qui, il divertimento è stato la svolta. A scrivere Poscienza ho badato solo a divertirmi, inserendo nella raccolta un’altra caratteristica che mi appartiene, l’ironia. Chi ha letto questa nuova pubblicazione mi ha detto che si è anche divertito; certo, non mancano elementi tragici che inducono alla commozione. Nella presentazione fatta a Roma, durante la lettura di alcune poesie, le persone si sono divertite, ridevano liete. Il divertimento è contagioso, io mi sono divertito, loro si divertono.

Fai ampio uso nei tuoi versi di simboli e caratteri tipografici particolari, sottolineature, numeri e segni. Hai mai temuto di risultare “difficile” rivelando un’indole così sperimentale? Cito testualmente: “il libro chiede un po’ di attenzione avendo diversi livelli di comunicazione con il lettore.

No, per niente. Come ho detto poc’anzi, mi sono divertito a scrivere, non ho mai pensato che devo essere facile o che devo farmi capire o stupire o altro, tutto questo non mi importa. Ho pensato invece a divertirmi, a esprimermi, a stare bene, a mostrare quello che vedo. Se qui e là vedo dei simboli allora li scrivo. Il simbolo vuole evocare la dimensione matematica del mondo ma anche l’incomunicabilità delle sensazioni e dei pensieri. Il simbolo allarga il significato, si pensi ai geroglifici. Certi simboli che ho adottato sono totalmente inventati, non esistono neppure nella letteratura matematica; a volte prendo in giro la matematica e i suoi concetti astrusi; ne ho creati di ancora più astrusi. Confermo, dunque, che il libro ha diversi livelli di comunicazione con i lettori, sta al lettore individuarli; molte volte ciò dipende anche dalla cultura del lettore, dalla sua formazione. In ogni caso, il libro è capace di parlare a tutti, di questo ne sono certo. Anzi, forse è incapace di parlare con le persone tronfie e prevenute, come certi noti poeti contemporanei che vedono solo sé stessi e i loro amici che li emulano.

Il tuo modus operandi non è stato quello del semplice assemblaggio, della giustapposizione di elementi dei due codici (“Dunque, ben venga la scienza nella poesia, ma non certo come corpo estraneo maldestramente incollato ai versi, piuttosto come vero e proprio elemento integrante di ricerca, principio di un nuovo sentire umano che ci accompagni verso nuove rivelazioni e conoscenze”). Quanto è stato difficile, nel lavoro di gestazione, di redazione, operare con i due linguaggi nel tentativo di dare vita a una nuova lingua? Finora quello della poesia e quello della scienza sono stati due mondi lontani, due universi apparsi ai più inconciliabili…

Sto rispondendo alle tue domande mentre le leggo, non le ho lette prima, procedo nella sequenza come me le hai poste e, dunque, capita che a una tua data domanda abbia già quasi risposto in precedenza, ma cerco di completare la risposta. La scienza apre panorami di riflessione inauditi, in particolare lo fa la fisica contemporanea. Ormai i fisici devono muoversi in uno spazio in cui il reale non segue il senso comune. La fisica procede anche per immaginazione e fantasia, agganciandosi a schemi matematici che, in qualche modo, fanno da guida. Ma sempre si parte dai dati osservativi, che poi vanno interpretati attraverso modelli della natura che usano la matematica come linguaggio. La poesia fa lo stesso, parte dai dati osservativi ed esprime qualcosa che va al di là del senso comune; quel qualcosa che vede il poeta ma che ad altri potrebbe sfuggire. Se la poesia si limita a esprimere ciò che il poeta vede, è banale; capita quando il significato non trascende le parole: sono le parole insieme, legate in qualche modo – secondo uno stile ben preciso che va a definire un modello osservativo –, a fare sì che arrivi quel qualcosa di altro che le singole parole non hanno in dote; ma se legate opportunamente insieme, possono consegnare altro a chi legge. Avviene come per le molecole, pensiamo all’acqua, due atomi di idrogeno e uno di ossigeno: legati opportunamente danno l’acqua, una molecola con caratteristiche totalmente differenti da quelle dei singoli elementi costituenti. La scienza e la poesia vanno d’accordissimo, hanno modalità molto simili di lavorare. All’inizio del Novecento, i fisici per riuscire a spigare certi comportamenti inusuali della natura hanno dovuto ricorrere a una particolare matematica. Anche per la poesia, come è stato per la fisica, è arrivato il momento di utilizzare un nuovo linguaggio. È quello che sto provando a fare.

Sempre nell’introduzione tu affermi: “l’interazione fra poesia e scienza sembra produrre, prima ancora che una nuova lingua, un pensiero filosofico sghembo e fortemente asistematico, per molti aspetti rivelatore (…)”. Vuoi dirci qualcosa in più in merito?

Per questo passaggio ho preso spunto da un’amica che ha letto in anteprima le poesie e mi ha fatto riflettere in tal senso; dunque, non è un pensiero autoreferenziale ma venuto da una donna di grande competenza letteraria (prima di pubblicare questo libro, ho pensato molto se valesse la pena farlo. L’ho fatto leggere a persone molto autorevoli, alcune delle quali, in passato, non hanno lesinato in critiche negative su certe mie scritture, quindi persone di cui mi fido, e tutte mi hanno dato il benestare alla pubblicazione).

Pensiero filosofico sghembo”: con Poscienza approccio la poesia in modo non convenzionale, diciamo sghembo nel senso dantesco: “tra erto e piano era un sentiero sghembo”. Forse questo libro definisce un proto-pensiero filosofico, un diverso modo di concepire la relazione tra poesia e scienza, obliquo rispetto alla linea del pensiero comune; si tratta di un sentiero che, se percorso, può portare in un’altra dimensione del pensiero? Non so quale.

E fortemente asistematico”: portiamo in causa Nietzsche, il suo pensiero mira a demolire verità fino ad allora considerate certe; è uno dei maestri del sospetto, insieme a Schopenhauer, Marx e Freud, perché instillano il dubbio riguardo a tutte quelle verità ritenute assodate. Il sistema filosofico di Nietzsche è asistematico perché non sviluppa in modo lineare un solo argomento ma ne tratta molti e mette in dubbio il pensiero sistematico, che si sviluppa invece in maniera ordinata e regolare. Nietzsche vuole impadronirsi della totalità del reale ma il reale è un caos, se non altro è molto complesso, e nessun sistema filosofico potrà mai abbracciarlo. Ecco, in Poscienza c’è questa dimensione asistematica. Forse.

L’impostazione di Poscienza potrebbe definire un sistema filosofico per certi versi rivelatore rispetto al reale. Ma non spetta a me deciderlo, io solo continuo a percorrere una strada, come poeta e come scienziato (poscienziato), vediamo dove porta: potrei anche decidere di tornare indietro, chi può saperlo?

In Poscienza è presente anche molta ironia, mi viene da pensare a Intelligenz(a_a)rtificiale e al suo normo-deficiente [che] teme l’intelligente… Ci proponi la rilettura/rivisitazione di qualche classico… Cosa sono questi Disguidi spaziotemporali proustiani?

Sì, a questa tua affermazione, riguardo all’ironia, ho risposto in precedenza. L’ironia, nella vita, è l’elemento imprescindibile che scarica le tensioni, è una “messa a terra” dell’elettricità che si accumula e potrebbe fare incendiare o esplodere una vita. In poesia è necessaria, oso dire.

Riguardo alle rivisitazioni, in Poscienza propongo quella di “L’infinito” di Giacomo Leopardi. E poi propongo una lunga poesia, “Disguidi spaziotemporali proustiani”, in cui metto insieme il padre del tempo letterario con il padre del tempo fisico: Marcel Proust e Albert Einstein. Ho anche realizzato un video su entrambe le poesie. Se qualcuno volesse guardarli li trova su Youtube, rispettivamente a questi due link:

https://youtu.be/Eq7yPb3ZGnY?si=gssPJWugfFA1zRQg

https://youtu.be/UrAEiCLMlds?si=82NNID2GJLspQ0Xn

Una sezione della raccolta è dedicata a Carrara, tua città di origine… Alcuni versi sono in carrarino

Sì, mi sono lanciato per la prima volta nella scrittura in carrarino, si tratta di pochi versi inseriti in due o tre poesie scritte in italiano; l’ho fatto per evocare l’aria di Carrara, si sa che una lingua è evocativa anche di una cultura, di un sistema sociale, per questo li ho inseriti. Ma un conto è parlare il dialetto, un altro conto è scriverlo, assai più difficile; per farlo ho consultato un vocabolario del dialetto carrarese. Non mi dispiacerebbe in futuro scrivere qualcosa totalmente in dialetto. A proposito di ironia, nel carrarino ce n’è molta.

Grazie per queste tue domande, molto attente e impegnative.

 

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