Biografia di un biografo. Poesie 1990-2000

  A pochi mesi da Acrobazie, la raccolta di prose edita da Il ramo e la foglia Edizioni di cui abbiamo apprezzato la vena surreale e la piacevole predilezione per la contravvenzione alle regole del gioco, Alessandro Trasciatti torna in libreria con un nuovo libro, la raccolta di poesie Biografia di un biografo (peQuod), che raduna tutte le rime da lui scritte nell’arco del decennio 1990-2000, alcune mai pubblicate prima, altre comparse su riviste o in plaquette e condivise solo con un pubblico ristretto di amici e di sodali, alle quali fa seguito una biografia immaginaria del poeta Roberto Amato (La casa del poeta).

La silloge, molto varia nei toni e negli argomenti proposti, composta da più sezioni, ognuna relativa a un passaggio significativo della vita dell’autore, ha come tema principale l’amore, indagato e descritto a tutto tondo, senza nulla nascondere, nella sua evoluzione: dalla dimensione strettamente intima, spesso dolente e nostalgica, a quella ebbra e coinvolgente dovuta all’impellente fascinazione erotica, a quella più dimessa della quotidianità, di cui l’autore lascia emergere finemente incongruenze e sfasature, gli elementi irrelati, riuscendo a dar voce in tal modo al proprio mondo interiore, con un esito non dissimile da una vera e propria autobiografia in versi.

Se nelle prime sezioni, dal tono fortemente monologante, i versi mettono in mostra infatti la necessità di sopperire a un’assenza, narrata anche nei termini di una lontananza dovuta ai “guasti prodotti nel petto dell’amata“, che hanno condotto alla “certa, irreversibile rottura della tela” (in questo caso il contesto avverso – Il gelo di Praga – è la giusta metafora di una particolare condizione esistenziale prima ancora che una semplice indicazione meteorologica), nelle sezioni successive, tra slanci gaudenti e lamenti a volte dolorosi, ricordi nostalgici e pentimenti tardivi, ricorre spesso la volontà di un dialogo intessuto con un tu generico dietro il quale non è difficile scorgere l’amata, un dialogo attraverso il quale prende vita un “amore storto“, per parafrasare una delle raccolte presente nella silloge, più volte evocato come “fitto di spine e spade, / corde, impiccagioni, / tranelli a freddo, / rifiuti in terza rima“. È una relazione che, di sezione in sezione, complice anche il tempo che influisce sul suo naturale decorso, si evolve in mille rivoli, in mille riflessi, e che perviene alla sua fisionomia più compiuta in Bosco d’amore, in cui al richiamo del corpo di lei, forma del desiderio in cui sprofondare “in un amplesso molle“, si oppongono i “se” dovuti ai pensieri e alle congetture, alle corrispondenze eluse o alle incomprensioni, alla sorpresa imputabile alla scoperta di come la contingenza possa rapprendersi in una rapporto dai contorni non sempre regolari, addirittura in concrezioni. Fonte altresì di preoccupazione è lo spettro dell’eccessiva “dimistichezza” che potrebbe porre fine al tutto e rivelare che in realtà il poeta è “uno specchio rotto, un frutto sul punto di marcire, un vecchio, un cane con le pulci, un’onda senza mare, tempesta in un bicchiere“, timore da cui solo l’incoscienza dei gesti avventati, non calcolati, potrebbe salvarlo.

Sono rime, per alcuni aspetti affini nel sentire a certe prose di Acrobazie, coeve nell’elaborazione e frutto probabilmente di una medesima ispirazione, in cui spesso la parola affascina, disattende e spiazza il lettore, in cui si riscontra la precisa volontà dell’io lirico di parlare di sé celandosi, oppure sconfessandosi al fine di risultare inattendibile, imbastendo in tal modo un discorso amoroso in cui realtà e finzione si confondono, in cui è difficile attribuire con semplicità pesi e misure, ponderare la giusta dimensione delle cose. Ciò nonostante, in altri casi, affiora il desiderio di affidarsi a questa stessa parola per rassicurare (Intermezzo), rivolgendosi spesso all’amata verso la quale ci si sente in difetto, si è mancati in qualche modo e si patisce pertanto del rimorso. Da qui l’esigenza di classificare, ricondurre a categoria (Classificazioni), soffermarsi sul tessuto lessicale del vissuto per ritrovare mondi certi (Insegna luminosa), sempre con la consapevolezza però di utilizzare uno strumento fallibile, facendo anzi di questa sua imperfezione un vessillo da esibire.

Il congedo dalla poesia che ne segue, originato a quanto pare dall’incontro con i versi del poeta Roberto Amato, è affidato, non a caso, a una prosa, al tentativo di scriverne una biografia (La casa del poeta). Anche qui, come in certe prose di Acrobazie, l’aspetto più evidente è lo spiccato gusto dell’autore per il surreale che, prendendo avvio dall’ordinario, si manifesta con la proposizione di situazioni sorprendenti e imprevedibili, come a ribadire il potere di un immaginario che è pienamente facente parte del reale, un reale che non sempre è spiegabile con strumenti logico-razionali. Ne vien fuori il ritratto di un personaggio liquido che non a caso dice di sé “lasciami ruscellare” (“Era così, un uomo liquido che non si sapeva più dove si fosse perso, sfatto, scomposto in tantissimi micro-organismi, ma che dico, particelle subatomiche impercettibili anche ai super-microscopi.”) e che difficilmente si lascia incasellare in paradigmi o categorie d’uso corrente, tanto meno in quelle tipologiche di un poeta “ordinario”. Si ha a che fare, insomma, con una biografia “affettuosa e feroce. Drammatica e ridicola. Scritta da uno che si spaccia per suo biografo e dal quale prendiamo le distanze, conoscendolo appena.” (come riportò lo stesso Trasciatti in Niederngasse, dove l’opera fu pubblicata tra il marzo e il giugno del 2017), in pratica una non-biografia, vista la propensione del personaggio Roberto Amato a darsi per negazione, a disattendere e a sottrarsi alla parola data che potrebbe de-terminarlo (la stessa parola che a suo dire, dispiegandosi con il ricorso alla sintassi, dovrebbe apparire razionale e perciò comprensibile). Quello che giunge al lettore è infatti spesso frutto di voci e di racconti altrui (l’unica prova certa della sua infanzia è una foto, ma di un bambino “che pretende essere lui“), frequentemente smentiti alla prima occasione, di mistificazioni avvalorate dallo stesso poeta (“Amato l’impostore, il Mistificatore“), con una progressione ininterrotta che arriva alla sconfessione estrema e inaspettata laddove il biografo ci confessa che “non c’è nulla da dire sulla sua vita, niente che meriti di essere ricordato“. È a questo punto che la biografia immaginaria di Amato si palesa per quello che è: il tentativo coraggioso di un biografo che, nel ricomporre le tracce della vita dell’amato poeta, dissemina il testo di elementi ed episodi emblematici utili per una propria biografia (“E comunque, se ci penso bene, è la mia vita che vorrei raccontare, non quella di Amato.“).

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