Sul racconto

 Ho trovato molto interessante questa conversazione tra Paolo Fabbri e Roland Barthes proposta di recente da Marietti. E pensare che è rimasta chiusa in un cassetto per cinquant’anni!

“Davanti a questa infinità dei racconti, si tenta, cioè si ha il coraggio – o il rischio o la temerarietà – di scegliere un modello di descrizione che all’occorrenza può essere precisamente il modello linguistico. Tenteremo cioè di applicare a questa massa enorme di racconti un modello di descrizione, che, manipolando certe specificazioni, dedurrà ciò che noi sappiamo dalla linguistica.”

Roland Barthes, Sul racconto, Marietti 1820

  Bisogna dare atto alla Marietti di aver compiuto un’importante scelta editoriale nell’aver recuperato, con acume e con lungimiranza, questa interessante intervista a Roland Barthes registrata a Firenze nel dicembre del 1965, una conversazione finora inedita, rimasta chiusa nel cassetto per più di cinquant’anni e riemersa solo grazie alla curiosità di Thomas Broden, francesista e studioso del pensiero strutturalista, che, trovandone un’annotazione in un taccuino dell’illustre semiologo custodito alla Bibliothèque Nationale de France, ne ha chiesto riscontro a Paolo Fabbri che l’aveva condotta.

Si tratta, senza dubbio, di una testimonianza di grande valore, che ci fa compiere un salto indietro nel tempo, che ci riporta nel mezzo dei fermenti di un’epoca in cui è in corso un rinnovamento radicale negli studi letterari e antropologici e nelle scienze sociali in genere, e in cui Barthes, sulla scorta della linguistica di Saussure, degli studi di Propp sulla fiaba, di Lévi-Strauss sui miti e dei formalisti russi sul romanzo, va elaborando il proprio pensiero, le proprie riflessioni sull’analisi strutturale del racconto. Elementi di semiologia è stato dato alle stampe appena qualche mese prima (è lo stesso anno in cui viene pubblicato Morphologie du conte di Propp) e poco dopo vedrà la luce il numero di Communication intitolato Recherches sémiologiques. L’analyse structurale du récit di cui firmerà l’introduzione e in cui compariranno i preziosi contributi di Greimas, di Eco, di Todorov, di Genette e di altri (poi pubblicato in Italia da Bompiani col titolo L’analisi del racconto. Le strutture della narratività nella prospettiva semiologica che riprende le classiche ricerche di Propp). È altresì il periodo in cui cresce da parte degli studiosi dei sistemi dei segni la passione per la nascente industria culturale, il momento in cui anche la televisione e i mass-media divengono oggetto di riflessione e di studio e Barthes si interessa nei suoi saggi di cibo e di arredamento, di moda e di pubblicità.

Le osservazioni da lui avanzate, sin dalle prime battute, risultano illuminanti. Ci danno un’idea precisa delle conoscenze teoriche a cui è giunto, così come annunciano alcuni temi che verranno sviluppati nelle opere a venire. Si nota, comunque, in ogni pagina, la volontà costante di essere estremamente chiaro nella spiegazione degli argomenti, come nei continui rimandi alla linguistica saussuriana, presa a riferimento per le sue ipotesi narratologiche (non a caso Barthes parla anche di linguistica del racconto), palesando l’intenzione di rendere accessibili a tutti, visto il valore, le proprie scoperte.

Si parte innanzitutto dalla passione crescente che c’è in Francia per l’analisi strutturale del racconto, un’analisi che s’impone, a suo avviso, come necessaria, poiché il racconto è “materia propriamente umana, una classe di produzione dell’umanità” e perché solo un “controllo scientifico” può permetterci di far luce nel mezzo della sua incontrollabile, odierna, proliferazione; analisi che sarebbe di sicuro migliore qualora si riuscisse a concepire “un modello ipotetico di descrizione” valido per ogni campo, e quindi anche nello studio della comunicazione di massa e di Goldfinger.

Non mancano, a seguire, esempi concreti e spiegazioni nelle quali Barthes scende via via sempre più nel particolare, fino a descrivere le unità significanti e la loro funzionalità ai fini dell’intelligibilità di una storia, come anche la distinzione tra nuclei ed espansioni; dei passi in cui si interroga su quale potrebbe essere la logica di fondo che regge la successione dei nuclei narrativi (sia essa antropologica o paradigmatica), in cui cerca di far luce sul primo livello di studio del racconto, quello funzionale, e sugli altri due livelli, quello attanziale e quello narrazionale, che in un’analisi esaustiva dovrebbero integrarsi.

Ne risulta una piacevole lezione nella quale il pensiero di Barthes, sempre aperto alle novità, a nuove chiavi di lettura, a tutto ciò che possa dirci qualcosa in più sull’uomo e sulla società e sul mondo dei segni, dimostra ancora una volta la sua natura eversiva, la sua propensione a forzare le certezze acclarate, le conoscenze scontate, l’accademismo vuoto e insulso di certi suoi contemporanei e, indirettamente, la sua volontà di minare alle basi gli strumenti ormai vecchi e autoreferenziali dello storicismo, dell’idealismo e del marxismo ortodosso allora imperanti negli studi letterari. Un modo di porsi, che era in fondo un metodo di lavoro, che potrebbe esserci d’aiuto ancora oggi nel trovare soluzioni interpretative nuove del presente, soprattutto se volessimo usarle per spiegare certe narrazioni politiche odierne o l’attuale moda dello storytelling.

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La presente recensione è apparsa su Lankenauta: letteratura e altri mondi

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