La clavicola di San Francesco – intervista a Daniele Nadir

  Ho avuto il piacere di porre qualche domanda a Daniele Nadir che, a quindici anni di distanza dal precedente Lo stagno di fuoco (Sperling & Kupfer), è da poco tornato in libreria con La clavicola di San Francesco (21lettere), un romanzo avvincente, dal ritmo incalzante, che con un occhio attento alla storia e al tema del sacro ci propone un’avventura in cui i protagonisti vanno alla ricerca di Sebastiano, un amico d’infanzia svanito nel nulla durante il terremoto che colpì Assisi nel 1997 mentre cercava una reliquia attribuita a San Francesco e che forse nemmeno esiste.

Innanzitutto, caro Daniele, una domanda che non posso non farti: come è nata questa storia, da dove sei partito e cosa ti ha ispirato?

La Clavicola è nata in tre momenti diversi. Prima di tutto, da un’infanzia piena di animali dovuta in buona parte a mia mamma che un giorno si pone candidamente la domanda di come sarebbe il mondo senza noi umani. Migliore (era sottinteso). L’intera faccenda suonava giusta ma amara, difficile da mandar giù. Due: Assisi crolla e mi trovo a vedere il filmato del soffitto che cade mandato in loop in qualche trasmissione notturna. Tre: a un mercatino compro una tovaglietta rigida. Al suo interno una collina divisa da decine di stanze squadrate e dentro ciascuna un animale stilizzato. All’esterno, agli angoli opposti, il sole e la luna. Prima che possa berci su un caffè scrivo la sceneggiatura per un fumetto. L’idea piace ma c’è troppa religione apocrifa e non se ne fa niente. A posteriori sono più che felice che la Clavicola abbia avuto il tempo per mettere radici e diventare un romanzo. Senza, per esempio, non avrei incontrato il Duca. Sarebbe stato un peccato.

La clavicola di San Francesco è un romanzo che intreccia abilmente il gusto della ricerca storica al senso dell’avventura, al tema del sacro, a quello dell’amore per gli animali e per la Natura. Non deve essere stato facile conciliare tutte queste anime… Come sei riuscito a tenere a bada una trama così articolata e perché questa scelta?

Le mie trame non nascono da scelte strategiche. Trovare le premesse giuste è come lanciare un sassolino dalla cima di una montagna. Quando inizia la valanga, la presenza di più dimensioni, o anime, non ha nulla a che vedere con un calcolo a tavolino, ma con i moventi e la natura complessa di personaggi che per me sono veri. Sono un ossessivo e prima di iniziare a scrivere devo conoscere ogni ansa della storia e riviverla sino a sentire ogni dettaglio reale. Molti elementi si aggiungeranno, scrivendo, ma in questo processo impostare una tematica a priori è impensabile. Il discorso animalista, per esempio, è stato qualcosa che ho capito e codificato fra una riscrittura e l’altra: all’inizio è solo la storia a comandare. E anche alla fine, a dirla tutta. Sì, l’intreccio è complesso, iniziamo in un collegio romano, nel mezzo di un racconto di formazione. Poi tutto cambia, frana, e un capitolo dopo l’altro il nostro rapporto con gli animali inizia ad avere un suo peso, e così la Religione e la Storia con le maiuscole. La trama poco alla volta assume la grana di un thriller in bilico sulla “fine del mondo come lo conosciamo” ma, al di là di tutto, la Clavicola non è che un libro d’avventura. Amicizia. Y amor!

All’interno del romanzo troviamo numerosi personaggi: Fabio, Giulia, Sebastiano, Marco, il Duca, Caterina… Sono del tutto immaginari o dietro di loro si celano persone reali?

Di solito quando scrivo sono i miei personaggi, ognuno di loro, ma nella Clavicola – hai visto giusto – è successo qualcosa di più. Questo gioco di immedesimazione ha coinvolto i miei amici più cari, tirati dentro la storia e rifiniti, resi essenziali, forse un po’ mixati, ma scrivere di loro è stato intensissimo. Fabio, poi, è un mio alter ego e Pongo, il mio cane di allora, recita se stesso scorrazzando fra le pagine del romanzo.

Uno dei grandi temi del libro è quello dell’animalismo e dell’importanza della convivenza pacifica tra uomo e animali. Da dove nasce questo tuo amore e questa tua attenzione?

Questo romanzo è lo specchio implacabile dei dilemmi della mia infanzia. Nella storia, dietro l’orizzonte, splende (o incombe) un’utopia attribuita a San Francesco e alla sua reliquia. Come raggiungere questo mondo ideale in cui gli animali non sono più sottomessi è un nodo di Gordio che chiunque abbia affrontato questi temi ha provato a sciogliere. Ma è possibile? Uomini, animali, insieme, senza soffrire? Chi vive? Chi muore? L’interrogativo di mia madre quando ero ragazzino smette di essere filosofico e diventa pratico. Seb, il ragazzo scomparso ad Assisi, non ha una soluzione necessariamente pacifica, ma per fortuna non è solo: i suoi amici d’infanzia lo stanno cercando. E non solo loro.

È facile comprendere perché grande rilevanza abbiano nel romanzo il messaggio francescano e l’esempio di Francesco…

San Francesco è un simbolo potente, e credo che i suoi valori siano condivisibili per un credente come per un laico postmoderno. Nella Clavicola la religione è un elemento narrativo importante, ma non è che una leva per creare dei vuoti d’aria nella storia e dentro di noi. Per cercare Seb andremo in giro per l’Italia, fra Torino, Siracusa, le colline umbre, Roma e poi via, sino al Mare del Nord, e ancora: lungo otto secoli di eresie. L’apocalisse che pagina dopo pagina inizia a incombere, però, ha più che vedere con noi che con Dio.

Nel leggere dei protagonisti che da piccoli fanno di tutto per liberare un cane dalle angherie del vicino vien da dire che per diventare degli ottimi adulti bisognerebbe conservare ciò che di buono c’è nel nostro animo di ragazzi…

L’animalismo che i protagonisti condividono da piccoli non ha retorica e quel che è giusto o sbagliato non c’entra. Da bambino certe verità sono semplici, punto. Già allora, però, Sebastiano va oltre: “Sono tutti buoni ad amare i cagnini”, dice mentre scappano quella notte. Quindi… sì, l’empatia dei bambini è fondamentale per capire gli altri animali – bipedi compresi – ma Seb aggiungerà a quella lucidità la consapevolezza e la ferocia di un adulto. Gli altri prenderanno altre strade. Questa storia non indica una via sola, una via giusta, ma credo che abbia il pregio di gettarti nella mischia con gli occhi aperti, come i protagonisti, quella notte, da ragazzini. Mi piacerebbe scoprire come chi ha letto il libro ha vissuto il finale.

Ci tengo a ricordare che il compenso destinato all’autore dalla vendita del romanzo sarà devoluto integralmente all’associazione Animal Equality. Vuoi dirci qualcosa in più su questa tua decisione?

Parlare, confrontarsi e condividere una storia è una gioia essenziale, ma sono felice che la mia parte di ricavato possa contribuire a cambiare le cose anche in modo pratico, sostenendo un’associazione che si batte per migliorare le condizioni di vita degli animali negli allevamenti intensivi.

Cosa stai scrivendo adesso e quali sono i tuoi progetti futuri?

Due progetti inaspettati.
Il primo non ha a che vedere con la narrativa. Dalla fine dello scorso anno, per promuovere la Clavicola ho superato la mia fobia per i social e con due amici abbiamo aperto una pagina Instagram/FB con contenuti legati ad animalismo e narrativa: di_santi_sbronze_e_animali. Montare video è un modo divertentissimo di raccontare e abbiamo avuto un riscontro improbabile, ma sto finalmente tornando a scrivere. Sin qui niente di strano, ma mai – mai – avrei immaginato di continuare la storia
de Lo stagno di fuoco.
I libri dei Gabbiani iniziano dall’ultima pagina di quell’odissea infernale. Già lo Stagno aveva una certa mole, ma questa nuova narrazione si muove in un mondo così vasto e vivido che a pensarci ho le vertigini. E sono felice. E vorrei avere giornate di trentasette ore.
Ma chi no?

Intervista apparsa su Lankenauta.

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