I bagnanti

  Partito da alcuni celebri capolavori dell’arte figurativa e plastica (i Bagnanti di Paul Cézanne, La Zattera della Medusa di Théodore Géricault, la Sibilla Delfica di Michelangelo Buonarroti, il Ratto delle Sabine di Giambologna e altri) che hanno ispirato i sei nuclei narrativi attraverso cui prende forma la vicenda, Rocco Anelli ci regala questo prezioso, singolare, romanzo dal titolo I bagnanti, appena edito da Les Flaneurs Edizioni, il cui tema principale è la giovinezza, o meglio il passaggio cruciale tra l’adolescenza e l’età adulta, di un gruppo di ragazzi (“Questi dieci ragazzi emersero dalla luce di quel pomeriggio caldo, concretizzandosi nei miei pensieri, solo per prendere le forme di statue e dipinti a me così familiari.” ci dice l’autore)

I dieci protagonisti qui presenti, infatti, quasi tutti appellati con nomignoli che ci ricordano il loro attuale stato di immaturità (Riccio, Arpione, Anguilla, il Pugile, Mezzalira, ecc.), sono ritratti mirabilmente con una prosa plastica, materica, altamente godibile, sia nei loro aspetti caratteriali, tra desideri, dubbi e aspirazioni, e un vissuto personale non sempre felice e che inevitabilmente pesa sulle loro spalle, così come nei gesti quotidiani, nelle pose e negli atteggiamenti ordinari che mettono in luce tutto il vigore, la voglia di scoperta, di affermazione, di divenire uomini attraverso una sfida agonica messa in mostra nella cerchia dei pari, nel mezzo di campagne rigogliose e su spiagge assolate, tra vie di paese e piazze, sotto una calura estiva che è il giusto corrispettivo di questa età torbida e passionale non priva di ombre, e in cui ha un posto d’eccezione l’esperienza erotica, proposta nelle pagine come il passo inevitabile e il rito di passaggio che solo può condurre alla vita adulta.

Si tratta di una vicenda dai tratti volutamente generici ed indeterminati che si caricano però di un forte portato simbolico, che accentua enormemente la sensazione di trovarsi di fronte a una storia dai contorni mitici, favolosi, perenni, in cui il significato dei gesti e degli episodi riferiti – custodi di un che di ancestrale e di archetipico – sembra perdersi nella notte dei tempi, fornendo così il ritratto perfetto della gioventù odierna e al tempo di ogni epoca (“Il ragazzino aveva lo sguardo fisso sulla scena, come incantato dalla pantomima antica, ancestrale, che si svolgeva davanti ai suoi occhi.“).

Ecco dunque che la celebre Zattera della Medusa di Géricault, quel dipinto che nel 1819 aveva scandalizzato i contemporanei per l’esibizione atroce e realistica di un evento tragico, a cui il pittore aveva dedicato per anni enormi studi preparatori, fa da opera ispiratrice al primo capitolo in cui fanno la loro comparsa il Riccio, il Pugile, Anguilla, Arpione e tutti gli altri, che si disputano a suon di lotta il primato nel gruppo, la conquista di una bandiera, “un’occasione per dimostrare la propria virilità, rinnegare l’appellativo di ragazzo e conquistare il titolo di uomo.” La Sibilla Delfica affrescata dal Buonarroti nella prima campata della Cappella Sistina, colta nell’atto di intuire con sorpresa, se non vedere, l’avvento del Signore che conferma la profezia data in un tempo immemorabile, si presta a fare da modella a una giovane ragazza incontrata sulla spiaggia, che ha il nomignolo di Pizia e che rivela, così sembra, una certa disposizione al vaticinio (“«I ragazzi sognano di diventare grandi, ma si dimenticano degli incubi degli uomini.» Quelle parole risuonarono nell’aria marina come una profezia.“). Ne I bagnanti, che trae spunto dall’omonimo e celebre dipinto a olio di Cezanne che ritrae dieci ragazzi nudi o seminudi in riva a un fiume mentre si apprestano a tuffarsi, l’attenzione si concentra sulla prestanza e sul vigore dei corpi sottoposti a fatica o che si battono per la supremazia, per confermare o disattendere la presunta gerarchia tra i componenti del gruppo, quella gerarchia che nel dipinto di Cezanne è resa dall’uso della prospettiva e dalla riduzione dimensionale dei personaggi, tra il primo piano e i piani arretrati, e dal colore, dagli azzurri delle ombre che circondano i corpi (“Arpione e il Macedone scattarono allora verso Mutanda, provando a tirarlo in acqua, ma il ragazzo uscì svelto dal laghetto. I due fecero altrettanto e lo inseguirono. Mutanda si difese come poté, lanciando i vestiti bagnati, abbandonati sul terreno, contro gli amici. Questi li presero al volo e subito li brandirono come armi contro di lui , inseguendolo in cerchio ridendo intorno al laghetto.“).

È un usus scribendi che dà linfa creativa anche ai tre capitoli successivi, tra i quali spicca La venere allo specchio, nucleo narrativo che prende nome dal celebre dipinto di Diego Velàzquez, in cui assistiamo all’iniziazione al sesso del giovane Riccio, atto propiziatorio e liberatorio che vorrebbe introdurlo con facilità all’età adulta, un traguardo a lungo perseguito e conquistato, forse, che rivela però anche le tante difficoltà e problematicità legate all’insorgenza di sentimenti contrastanti e di scelte autonome che tendono a distinguerlo dal gruppo, come apparirà lampante nel Ratto delle sabine, il capitolo finale, teso a mettere in luce quel che c’è di violento, torbido, nella giovinezza.

È una prova di alta qualità stilistica, che esibisce a pieno titolo una voce autoriale che si dimostra già matura nel padroneggiare i mezzi espressivi. La precisione riservata al dettaglio, la ricercatezza formale, piacevole e mai pesante, mai banale, fortemente legata alla tradizione, nonché la resa figurativa e plastica esaltata da un’attenta scelta lessicale, ne fanno sicuramente un romanzo coraggioso che non ha paura di innovare, di spiazzare, e – perché no – di porsi obiettivi lontani, sfidando a viso aperto la mediocre moltitudine dei contemporanei.

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Articolo apparso su Lankenauta.

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