Angeli sigillati. I bambini e la sofferenza nell’opera di F.M. Dostoevskij

 Per chi ama e vorrebbe approfondire la conoscenza dell’opera di Dostoevskij, opera – come sappiamo – tra le più grandi e affascinanti di ogni tempo, di enorme utilità può apparire Angeli sigillati. I bambini e la sofferenza nell’opera di F.M. Dostoevskij di Antonina Nocera, un ampio e valido saggio edito da Franco Angeli dedicato a una costante della produzione letteraria dello scrittore russo, la figura del bambino che soffre o patisce in quanto vittima di una violenza subita o di un’azione malvagia.

Il tema, di grande interesse, viene qui approfondito vagliando l’intera produzione dostoevskijana, dai primi, giovanili, racconti ai grandi romanzi, senza dimenticare le opere incompiute o semplicemente abbozzate e le riflessioni che accompagnarono lo scrittore nell’arco di una vita (cfr. le Note invernali su impressioni estive, oppure Il diario di uno scrittore): sono tante infatti le sue pagine in cui ricorrono bambini afflitti da povertà, inedia, sofferenza, malattia e lutto, vuoi perché orfani o abbandonati, vittime di concupiscenza sessuale, o perché destinati a un ruolo da martiri, oltraggiati ed emarginati, costretti insomma a crescere in fretta in un contesto indifferente oppure ostile, bambini ai quali ben si adatta dunque la definizione di “angeli sigillati” poiché privati del volo, dell’infanzia, della gioia dei primi anni, dello sguardo di meraviglia di fronte alla vita.

Ampio spazio viene dedicato ad alcune figure esemplari, tra le quali la Varen’ka protagonista di Povera gente, romanzo in cui la fine dell’infanzia e delle illusioni, della spensieratezza legata alla vita campestre, coincide con l’arrivo della fanciulla a San Pietroburgo, “terra sconosciuta della sofferenza e del dolore”; la Nelly di Umiliati e offesi, orfana povera e abbandonata dal mondo, vessata dalla sofferenza, dalle torture fisiche e morali e destinata probabilmente a una fine turpe se non ne sopravvenisse la morte; la piccola Matrëša undicenne, vittima della violenza di Stavrogin ne I demoni; l’Arkadij de L’adolescente, bambino abbandonato sin dalla nascita e cresciuto da una famiglia adottiva, emarginato e trattato con disprezzo.

Sono figure che incarnano inizialmente ciò che in seguito verrà affidato all’amara riflessione sull’inutilità della sofferenza dei fanciulli di Raskol’nikov in Delitto e castigo, preludio a sua volta del cruciale passaggio all’accostamento Cristo/bambino nelle pagine de L’idiota, in cui la perfetta e più bella immagine di uomo è appunto quella di Cristo, cioè quella di colui che possiede la purezza, l’innocenza, l’ingenuità estrema dei bambini (il binomio anticipa, a sua volta, i riferimenti evangelici de I fratelli Karamazov). È sotto questa luce ulteriore, ci spiega l’autrice, che il crimine commesso ai danni dei fanciulli, di per sé atroce e inaccettabile, ancor più se si tratta di uno stupro, verrà letto nei romanzi maggiori in chiave etica ed ontologica a un tempo come un atto di sfida all’ordine naturale delle cose poiché mira “a profanare nell’uomo l’immagine di Dio proprio dove essa è più luminosa […] e a mettere in dubbio […] la possibilità che Dio abbia una qualche affinità con la sua creazione” (Steiner).

Non meno interessanti paiono le pagine in cui la Nocera si sofferma sulle figure dei torturatori, dei seviziatori, di coloro che non si fanno scrupolo di deturpare un’innocenza tradita dai familiari o più in generale da una società che osserva e rimane indifferente, per motivi economici o aberrazioni mentali: dal vecchio tentatore di Varen’ka, che mina la purezza giovanile, se non infantile, di lei per puro piacere personale, ignorandone il pensiero e la volontà e condannandola a un destino che non ama; al Gazin di Memorie di una casa morta, pedofilo e omicida, esemplare di un’umanità degradata; allo Svidrigajlov di Delitto e castigo, uomo aduso a violenze e vessazioni nei confronti dei servi e delle servette; allo Stavrogin, già ricordato, metafora del male e dell’oltraggio dell’innocenza; a tanti altri personaggi, anche secondari, che rendono bene l’idea di un mondo in cui regnano incontrastati la malvagità e l’inganno, la malattia mentale e la sopraffazione del più debole.

Preziosi risultano – assieme alla disamina dei precedenti letterari a cui lo scrittore potrebbe aver attinto, in primo luogo la Radcliffe e De Sade, nelle cui opere è ampiamente trattato il motivo della “fanciulla oltraggiata” – i riferimenti puntuali alle cronache nere di quegli anni, ben note a Dostoevskij e verso le quali mostrò sempre grande interesse, e il risalto dato alla sua grande conoscenza della realtà misera dei sobborghi cittadini, delle penose condizioni di vita in cui i bambini vivevano, delle vessazioni, delle sofferenze a cui degli adulti indifferenti o profittatori spesso li destinavano, nonché della psicologia infantile palesata in tante pagine e del ruolo nefasto giocato dalla povertà nella crescita psichica del fanciullo.

Significativi sono infine i rimandi alle vicende biografiche, proposti sempre con giudizio, come pure alla funzione del sogno, laddove in esso ricorra la figura del bambino che soffre, sogno che può assumere a volte anche una valenza catartica (è elemento propulsore del cambiamento e della purificazione, cfr. il sogno di Dmitrij ne I fratelli Karamazov), e alle attitudini di alcuni bambini, quelli “riflessivi”, a percepire il dolore dell’esistenza per metabolizzarlo in una direzione opposta, volgendone in positivo gli effetti (cfr. la figura di Nelly in Umiliati e offesi e il suo potere salvifico).

Sono motivi, aspetti, approfonditi dall’autrice con estrema perizia, che fanno di queste pagine un saggio di sicuro valore, indicato per il lettore occasionale e per gli addetti ai lavori.

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