L’orrore a Red Hook

  È da poco disponibile per i tipi di Jouvence, con la traduzione e la curatela di Daniele Corradi, una nuova edizione di due racconti chiave di H. P. Lovecraft, riuniti sotto il titolo di L’orrore a Red Hook. La chiamata di Cthulhu. Si tratta di due testi molto vicini, a livello temporale, per quanto riguarda la genesi, poiché scritti entrambi durante l'”esilio” newyorkese di Lovecraft, durato tra il febbraio del 1924 e l’aprile del 1926, un periodo in cui – come spiega bene Corradi nell’introduzione – lo scrittore di Providence, dopo aver sposato Sonia Haft Greene ed essersi stabilito a Brooklyn in cerca di un impiego adatto alle proprie aspirazioni, senza mai riuscire a trovarlo, sperimentò sotto ogni ambito, matrimoniale, etnico, professionale, il “ribollente caos dell’alterità, dell’esternalità“, un’esperienza che si rivelò a tutti gli effetti “depersonalizzante e disumanizzante” e che lo indusse in conclusione a far ritorno nella sua città natale.

Dal punto di vista letterario sono due racconti fondamentali per comprendere l’evoluzione narrativa di Lovecraft, essenziali cioè per capire il divenire degli interessi e della poetica di uno dei maestri indiscussi della letteratura horror e del soprannaturale, in quanto ne segnarono in modo netto il passaggio dal gotico quotidiano all’orrore cosmico, dalla metropoli babelica (da una New York, appunto, in cui si era ritrovato immerso in tutta una serie di vicende dall’esito alterno, non sempre positivo – tema poi trasposto nella città di R’lyeh, la Roma dei morti filtrati dalle stelle, la Troia di strati sommersi, che demonica resurge, de La chiamata di Cthulhu) alla ritrovata Providence. Non appare inoltre un caso che La chiamata di Cthulhu sia anche il testo che meglio esprime i principi di estetica letteraria di Lovecraft esposti nel saggio Supernatural Horror in Literature, composto solo qualche mese prima della redazione del racconto.

Si aggiunge a ciò un pregio ulteriore di questa edizione della Jouvence: quello di restituirci, grazie al gran lavoro svolto da Corradi, una versione filologica rispettosa della lingua di Lovecraft (la prima nel panorama editoriale italiano, operazione che ha portato anche alla costituzione di un dizionario lovecraftiano, cfr. D. Corradi, Il linguaggio di Cthulhu. Filosofia e Dizionario di H. P. Lovecraft, Milano, Jouvence, 2019), attenta cioè alla sintassi, al lessico e allo stile dello scrittore di Providence, con una traduzione che sa ben rendere una prosa volutamente arcaica, difficile, a volte desueta, che attraverso descrizioni particolareggiate, ripetizioni intenzionali, abbondanza di specificazioni e di attribuzioni, vuole riproporre l’approccio, l’ottica autorevole e il pensiero analitico dell’indagine scientifica condotta dai protagonisti delle storie e dall’io narrante (Malone e Legrasse sono due ispettori, di cui solo il primo è però protagonista a tutti gli effetti della vicenda), indagine ovviamente destinata a fallire perché condotta su un qualcosa, su una materia che sfugge all’umana comprensione e che travalica la limitata logica umana (come dice Corradi, Lovecraft ha il merito di aver concepito un universo in cui è tangibile “l’impossibilità gnoseologica della conoscenza, di se stessi e del mondo“).

Leggiamo così, ne L’orrore a Red Hook, delle indagini dell’ispettore Malone e dell’oscuro Suydam, in una New York dominata dalla perversione e dalla depravazione morale, fatta di ambienti sociali degradati (“nidi di disordine e di violenza, (…) un orrore di case e fabbricati e città lebbrose e cancerose di un male dragato da mondi vetusti“), ma anche di corruzione della natura e delle sue leggi fondamentali perché, come scopriremo al termine del racconto, ciò che dovrebbe essere morto in realtà non lo è; e delle ricerche condotte dal professor Angell, esperto di antiche iscrizioni, e dall’ispettore Legrasse ne La chiamata di Cthulhu, racconto in cui è lampante, in ultima analisi, la coscienza dell’umana finitudine (“La cosa più misericordiosa al mondo, io penso, è l’incapacità della mente umana di correlare tutti i suoi contenuti.“), come quella dell’impossibilità di combattere contro un qualcosa che è più grande di noi e che in teoria ci precede perché c’è sempre stato nella notte dei tempi (tema ricorrente nella narrativa di Lovecraft: “Chi siamo noi per combattere veleni più vecchi della storia e del genere umano?” in L’orrore a Red Hook, o ne La chiamata di Cthulhu: “Essi veneravano, così dissero, i Grandi Vegli che vivevano ere prima che ci fosse alcun uomo“, per riportare qualche esempio).

Non resta dunque che rassegnarci. Non c’è soluzione al male, sembra dirci Lovecraft in questi due testi, in quanto i mostri e le blasfemie sono infinite e sempre pronte a riemergere. L’uomo non può fare altro che rendersi conto della presenza di una “architettura” senza tempo che attinge a una dimensione che non può essere conosciuta e che lascia presagire per noi, purtroppo, un futuro orrido, fatto solo di disfacimento e di paura.

Recensione apparsa su Lankenauta.it

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