Vi dichiaro marito e morte

  In un’epoca in cui l’apparire ad ogni costo e il mostrarsi anche per quello che non si è sembrano spesso avere la meglio su ogni sincero richiamo all’autenticità e alla credibilità, negli intenti come nei gesti, nel pubblico come nella sfera privata, Vi dichiaro marito e morte di Simone Consorti, raccolta di racconti edita da Edizioni Ensemble, si propone come l’invito più prezioso al recupero, oggi più che mai inderogabile, di sani principi e di valori autentici, alla riscoperta di una dimensione vera, quella che effettivamente ci appartiene, un invito ben riassunto nelle parole di don Gallo poste in epigrafe (“Non mi interessa chiedervi se siete o non siete credenti, vi chiedo però se siete credibili“) che non si sbaglierebbe a prendere per guida, come punto di riferimento, di tutto il libro.

L’autore, infatti, con dieci storie dalla forma rapida e netta, che attingono a episodi veri o verosimili della nostra contemporaneità, non esita a porci sotto gli occhi gli aspetti più controversi della società odierna (a un tempo così progredita, nelle conoscenze e nei mezzi a sua disposizione, ma anche così afflitta da ignoranza e superstizione, da ipocrisia e cinico opportunismo) con lo scopo di indurci a meditare profondamente sui gesti, sul modo d’essere e di vivere dei protagonisti ma, di riflesso, anche su noi stessi, sulla scorta di una nobile volontà di disvelamento che sembra presentarsi come uno dei pochi strumenti ancora utili per salvarci dalla falsità tetra che ci circonda.

È una raccolta in cui grande rilevanza ha la fede, ambito in cui a volte è molto labile il confine tra vuota bigotteria e credo autentico, come ci mostrano alcuni racconti.

Accade di leggere, per esempio, di un uomo che porta in sé il cuore di don Giusto, che ha ricevuto con un trapianto e che ne ha fatto un paradosso vivente: è al tempo stesso “un gran vigliacco” per i “delitti” di cui si macchia quotidianamente e di cui non si pente e una “reliquia ancora in vita“, la cui notorietà è cresciuta a dismisura a causa dei discorsi demagogici del politicante di turno che ne cerca l’appoggio. Ne risulta una brillante e piacevole riflessione sull’ipocrisia che regna sovrana nel Belpaese ma anche un feroce ritratto di chi, gettando odio sui migranti e ribadendo al contempo il proprio credo religioso con l’ostentazione dei simboli, usa la fede a proprio uso e consumo per fini riprovevoli (Portare il cuore di un santo). Può succedere anche che sia la morte improvvisa della piccola Federica a spingere la voce narrante ad interrogarsi sulla fede e su tutto ciò che vi ruota attorno, sui rituali come sulle frasi fatte, sulla cui efficacia sorgono tanti dubbi e che poco aiutano a spiegare un evento che si rivela forse troppo grande per poter essere compreso come si vorrebbe (Lei è il papà di Federica?). Molto illuminante, in questo racconto, è la frase “Il pomeriggio sa cose che la mattina non può neanche immaginare“, anche questa posta in epigrafe alla silloge, che colpisce per il pregio di sintetizzare in modo estremamente efficace tutta l’imprevedibilità della vita, così come l’eventualità che questa possa un giorno tradire l’ingenua fiducia che in essa abbiamo riposto, come pure tutti gli anni che a volte occorrono per comprenderla, semmai si riesca nell’intento. Ne Il prescelto, invece, leggiamo di una di quelle sette di cui ogni tanto giunge notizia, in cui si vive tra cieca devozione e riti dalla dubbia virtù. Consorti ne descrive abilmente i reclutamenti, la manipolazione della coscienza degli affiliati, la fiducia nei confronti di un ciarlatano (qui troviamo la frase “Vi dichiaro marito e morte“, divenuta poi il titolo della raccolta) e il suicidio collettivo che si palesa alla fine per quello che realmente è: una manifestazione di follia collettiva mista a un fanatismo dai princìpi altamente discutibili, nel quale il messaggio di vita si rivela essere un messaggio di morte, inspiegabilmente accettato dai seguaci.

Altrettanto interessanti sono i racconti seguenti che riprendono episodi a volte assurti agli onori della cronaca o piccole occasioni del quotidiano che, pur ignote ai più, hanno in sé in ogni caso un alto valore di esemplarità, utile per capire a fondo il mondo in cui viviamo e il funzionamento di certi meccanismi sociali e relazionali.

In Shooting, per esempio, la descrizione di un servizio fotografico dall’esito più o meno equivoco è il tentativo mancato di mettere a fuoco l’identità della ragazza coinvolta, che in foto intime e personali sembra rivelarsi ben diversa da quella fotografata per motivi di lavoro, e che a causa di questa moltiplicazione caleidoscopica della propria immagine appare a un certo punto indefinibile e indecifrabile. È un’ambientazione molto simile a quella di Nozze di plastica, racconto che segna l’apice dell’ipocrisia e dell’opportunismo, in cui va in scena – con un approfondimento psicologico notevole – la parodia di un’unione coniugale tra un reduce dalla guerra in Iraq, rimasto invalido a causa di una mina, e la sua compagna, unione tenuta in piedi per far soldi con i servizi fotografici e con le interviste, con le esclusive per i selfie, grazie a un mondo di testate giornalistiche che insegue e propina ossessivamente lo scoop in cui ciò che spesso manca è proprio l’autenticità.

Sono pagine in cui lo sguardo di Consorti indaga con profondità il tema del soggetto e della sua credibilità, uno sguardo che in altri racconti viene esteso anche all’ambito familiare.

Quanto poco credibili appaiono, infatti, i genitori de La pallottola d’argento che ci narra, forte di un’abile caratterizzazione dei personaggi così come di una lucida analisi delle dinamiche scaturite da una separazione, quel che può accadere tra ex coniugi, quando ad aver la peggio sono i figli, contesi in una lotta in cui nessuno esclude colpi bassi, oppure quelli di I papà di Anna, forse la più toccante tra le storie proposte, in cui il venir meno di entrambi ai compiti e ai doveri che a loro competono viene riferito con un tono tragico e tenero a un tempo, con risvolti esistenziali che pungono l’anima.

In altre circostanze sono però anche i gesti ad avere un valore rivelatore, soprattutto quando smentiscono clamorosamente le parole. Questo accade in Tutto tranne fascista, nel quale delle stupide accuse lanciate durante una lite sono all’origine di un triste ricordo legato a un omicidio che non ha avuto giustizia, in cui è proprio un piccolo gesto di stizza a smentire certe affermazioni e a minare la credibilità del singolo. Così come sono i fatti, in Al mio paese le donne non parlano, che mostrano al protagonista Andrea, in vacanza in Marocco, la reale consistenza di un’amicizia e di una relazione.

Non mancano ovviamente le note positive, come Il tuo modo di dirlo al mondo, in cui lo scatto che la protagonista vorrebbe ad ogni costo rendere pubblico ritrae questa volta qualcosa di autentico e di non artefatto ed esprime tutta la felicità dovuta ad un amore inseguito e ricambiato.

È netta quindi l’impressione, a lettura ultimata, di avere tra le mani una disamina lucida e perspicace degli usi e costumi della società in cui viviamo, in cui spesso le immagini mentono e i gesti sono vuoti e le parole han perso ogni valore, e nella quale solo uno sguardo critico potrebbe aiutarci a intravedere il vero, prima di affondare del tutto nel grande mare oscuro dell’inganno e della bieca ipocrisia.

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Recensione apparsa su Lankenauta.