Toscana. L’atelier della bestemmia

  Primo volume di Dispacci italiani, collana curata dal giornalista e scrittore Davide Grittani, e primo tassello di una serie di reportages narrativi editi dall’editore Les Flâneurs, Toscana. L’atelier della bestemmia è una raccolta di sette racconti di sette scrittori, toscani di nascita o d’adozione, che intende parlarci di questa terra meravigliosa da una prospettiva inusuale, o meglio non convenzionale, lontana cioè dai percorsi già battuti dalle precedenti proposte editoriali, per esempio nelle guide redatte ad uso e consumo dei turisti frettolosi o in qualsivoglia monografia dal taglio erudito e di difficile lettura.

Corredata di splendide foto che si integrano perfettamente con le storie del libro e che alternano paesaggi boschivi e rivoli d’acqua, borghi ricchi di storia e tradizioni, e piazze suggestive che tanto possono suggerire all’immaginazione di ognuno, il volume ci propone infatti una Toscana insolita, che si rivela attraverso gli occhi di chi c’è nato e ci ha vissuto (“Volevamo fissare meglio queste cose, e per farlo abbiamo chiesto in prestito gli occhi di chi sembra strano, le pupille di chi sembra pazzo. E forse (per fortuna) lo è davvero.“) e che ce la narra attraverso episodi storici o di vita privata, anche con grandi metafore narrative, facendone di volta in volta il luogo prediletto del ricordo e del rimpianto, del raccoglimento e dell’ammirazione, in ogni caso il palcoscenico più adatto a far emergere i tratti peculiari della toscanità e dei toscani tutti, così notoriamente sanguigni, lucidi, sboccati, ironici, intelligenti, costantemente ribelli ad ogni tipo di autorità e privi di mezze misure, inclini a prendere le cose di petto (“Volevamo guardare dalle finestre a cui non si affaccia più nessuno, viaggiare lungo le strade dimenticate dagli assessori, dai taxi e dai social, sorridere ai cani randagi che normalmente scansa pure il vento, tendere le mani ai barboni per farci contagiare dalla loro anarchia. Volevamo provare a origliare gli umori e i rumori di un’altra Italia, del Paese che la politica del gregge e la fabbrica della mediocrità hanno trascurato fino a renderlo invisibile, un fantasma senza lenzuola. Volevamo raccogliere queste voci dentro una conchiglia, per riascoltarle al posto delle banalità di cui siamo ostaggio.“).

Uomini e scarpe di Sergio Nelli, per esempio, è un tornare indietro (con opportuni riferimenti letterari) sulle ali del ricordo alla scoperta di Fucecchio e di un mondo avito ormai scomparso, fatto di tradizioni e cose semplici, e narrato con un trasporto così evidente da lasciar trasparire ad ogni riga tutto l’amore dell’autore per la propria terra. Rane sul margine della Diva di Roberto Masi ci racconta la vita di un gruppo di amici del piccolo borgo di Calenzano, dall’infanzia trascorsa andando a caccia di rane lungo il fiume alla giovinezza in cui vagheggiavano un incontro con Ornella Muti sulla piazza del paese, all’età adulta che ne vede l’allontanamento e infine il ritorno, quando lo sguardo è rivolto al tempo che fu, a quel passato reso dagli anni della rinascita e della ricostruzione un qualcosa di trasfigurato e di irriconoscibile. Cieli della nostra infanzia di Emiliano Gucci ci irretisce con una storia dalle tinte fosche in cui i tentacoli di un essere minaccioso possono soffocare ogni animo libero e controcorrente. Segni precursori del tempo di Veronica Galletta lega un destino personale a un affresco precisissimo della città di Livorno, “città non toscana per eccellenza“, e in particolare del suo porto, da cui si scorgono i segni suggeriti dal titolo: “quando, per effetto ottico, le isole dell’Arcipelago Toscano sembrano avvicinate a chi le osserva oppure poste su uno sfondo chiarissimo, è segno di pioggia e venti da terra o scirocco. Quando sulla Corsica o Gorgona (ben visibili) e su Montenero si osservano dei cumuli, a forma di “seppia”, è segno di prossimo vento di libeccio…“, tutti leggibili in chiave personale e simbolica. In Dalla sinagoga alla moschea, un pellegrino a Firenze, Marco Vichi ci accompagna invece in una Firenze multiculturale e cosmopolita, conducendoci dapprima nella sinagoga di via Farini e poi nella moschea di Piazza dei Ciompi. In Polvere Massimo Campigli ci narra di boschi, grotte, sorgenti e rivoli d’acqua, per scoprire come una gestione aziendale irresponsabile può rischiare di seccare i pozzi e l’acquedotto potabile e può dar vita in breve a una rivolta inaspettata o a gesti eclatanti. In La grande riesumazione del quarantacinque Ilaria Giannini rievoca un episodio del secondo dopoguerra avvenuto a Gualdo: la riesumazione dei corpi di due giovani studenti caduti combattendo per la Resistenza, episodio che per i personaggi presenti all’evento rappresenterà la fine di un capitolo doloroso della loro vita e l’inizio di un altro rivolto al futuro, colmo di speranza e di buone intenzioni.

È una raccolta che, trovando probabilmente il proprio modello letterario nel Curzio Malaparte di Maledetti toscani, opera in cui lo scrittore pratese aveva unito gli episodi dell’infanzia a quelli del passato, alla descrizione degli splendidi paesaggi e delle città della sua regione, riesce a cogliere con semplicità l’anima autentica dei luoghi evocati e di coloro che vi abitano, ritratti a tutto tondo con i loro pregi e i loro difetti, la loro storia e le loro tradizioni, e da chi ha sicuramente la Toscana nel cuore.

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Recensione apparsa su Lankenauta.