#LoStatutoDelRacconto: l’intervista a Sandro Bonvissuto

  Innanzitutto, Lei ha raggiunto la notorietà con Dentro, una raccolta di racconti pubblicata da Einaudi nel 2012 con la quale ha anche vinto il Premio Lo Straniero e la XXV edizione del Premio Chiara. Già in precedenza, però, alcuni suoi racconti erano apparsi in un altro libro, Nostalgia del vento (2010).

Le chiedo: considera il racconto come una forma di valore o come un qualcosa di subalterno rispetto alla forma romanzo?

S. Ho scritto e pubblicato esclusivamente racconti, e credo che questo rappresenti già una risposta esaustiva alla tua domanda, ciò nonostante se poi è vero, come è vero, che il racconto vive un’era di subalternità rispetto al romanzo, ritengo che questo sia dovuto a quelle politiche commerciali poste in essere dagli editori, i quali sono totalmente subalterni al mercato, all’atteggiamento degli scrittori, che a loro volta sono subalterni agli editori, ed infine al costume dei lettori, che sono subalterni alle mode; quindi per fare una sintesi direi che oggi, in un’era di subalternità generale, il racconto è subalterno sì, ma non rispetto al romanzo, con il quale ha poco in comune, in virtù di una diversa categoria d’appartenenza, quanto piuttosto rispetto a se stesso e alla sua gloriosa storia. E tra l’altro tutto questo succede non per colpa mia.

Da cosa è stato spinto nella sua scelta? Perché ha scelto la forma del racconto? Le va di raccontarci la sua evoluzione come scrittore e la sua scelta per la forma breve del narrare?

S. La scelta della forma breve è nata come una non scelta; mi spiego meglio: io non posso dedicare molto tempo alla scrittura, perché lavoro in un ristorante, ho due figli, e vivo in una grande e meravigliosa città (un lusso che esige le sue lungaggini) e allora ho pensato la scrittura direttamente nella forma del racconto, perché rapida e conclusiva nell’immaginario, altrimenti non avrei potuto nemmeno sperare di scrivere. Sono diventato scrittore grazie al racconto, se ci sarà un’evoluzione non lo so, ma qualora fosse, partirà da qui.

Da dove trae spunto per i suoi racconti?

S. In Dentro c’è un racconto che parla di una cosa precisa, un altro che non parla di niente, questo per dire che il racconto è per sua stessa natura onnivoro; il racconto, tecnicamente, è solo una determinata misura dell’espressione.

C’è qualche campione della narrativa breve a cui si è ispirato e si ispira nel dare forma al suo stile?

S. Ammiro da sempre l’Hemingway dei 49 racconti (libro che l’estensore di cose brevi deve tenere sotto il cuscino) e poi Carver.

Ora vorrei curiosare nella stanza in cui scrive e chiederle: come nasce un racconto?

S. Più che come dovresti chiederti quando, perché il racconto è così, è imprevedibile, si impone come fosse un’esigenza fisiologica, e non sempre nasce nella stanza.

Il racconto può aiutare a capire il presente?

S. Il racconto per me è il presente per antonomasia, anche se in realtà è quel presente, quello di cui parla.

Cosa può dire il racconto sulla recente storia d’Italia e sulla società italiana?

S. Negli anni addietro, mi riferisco al secolo scorso, il racconto grazie alla sua divulgazione ha svelato una società spesso muta; pensate ai contributi nel breve del verismo, di Pirandello, della Deledda o dello stesso Piero Chiara (al quale alludevi a proposito del premio vinto da Dentro e a lui intitolato) con le sue storie di confine, fra laghi e contrabbandieri. Ma il rapporto fra il racconto e società italiana è molto più antico: Boccaccio fu il primo con il Decamerone. Noi (italiani) siamo i veri figli della novella, ma ce ne siamo dimenticati.

Quali sono gli scrittori del nostro passato recente che Lei considera dei punti di riferimento per le nuove generazioni?

S. Per i racconti direi due: Landolfi e Calvino.

Ci sono scrittori di racconti attuali che vuole menzionare per il loro valore?

S. Certo: Daniele Del Giudice e Michele Mari.

Cosa ci dice sul fatto che i racconti non si leggono e non si vendono? Lei condivide questa affermazione?

S. Qui da noi non si leggono e non si vendono, per via di un recente imbarbarimento dei costumi letterari, sfociato nell’omologazione culturale; in questa società di lettori votata solo al consumo dei soliti generi non c’è più la grandezza estetica necessaria a comprendere ed accogliere la forma della novella. Il racconto è una cosa piccola, ma per comprenderla bisogna essere grandi.

Da scrittore, cosa si sente di dire ai giovani autori di Emergenza Scrittura che amano scrivere? Quali indicazioni darebbe a un giovane autore di racconti?

S. Agli scrittori dico di sentirsi fortunati perché l’amore per la scrittura ci fa impegnare in modo nobile il tempo dell’unica vita che abbiamo. Detto questo, al giovane autore di racconti dico: attenzione, il racconto è sì breve ma non per questo semplice, deve avere in sé infatti delle regole strutturali come fosse romanzo, e l’intensità del verso come fosse poesia, e per contravvenire a queste indicazioni bisogna essere molto bravi e ispirati. In più, mentre il romanzo si costruisce e si costituisce con la scrittura per superfetazione (addizionando storie, personaggi e situazioni), il racconto invece si decostruisce; qui la scrittura funziona al contrario. Il racconto, quando ce l’hai, ha bisogno di quelle parole, solo di quelle, non una di più. È racconto tutto quello che riuscite a cogliere e restituire con un gesto, con un respiro solo. E se c’è bisogno di più spiegazioni, allora vuol dire che quello non era un racconto, sarà stato un’altra cosa.

Intervista a cura di Gianluca Massimini per Emergenza Scrittura