Il linguaggio di Cthulhu. Filosofia e Dizionario di H. P. Lovecraft

  Diviso in più sezioni, ognuna dedicata ad un aspetto dell’opera di Howard Phillips Lovecraft, questo ampio saggio proposto da Daniele Corradi (Daniele Corradi, La lingua di Cthulhu. Filosofia e Dizionario di H. P. Lovecraft, Editoriale Jouvence, 2019, pp. 313) è una disamina molto accurata della lingua, delle tecniche narrative e della filosofia dello scrittore di Providence, elementi che, come ci spiega abilmente l’autore, in realtà non andrebbero mai disgiunti l’uno dall’altro ma sempre messi in intima connessione.

Partendo dunque dai presupposti filosofici che sono alla base del suo mondo narrativo, Corradi ci illustra innanzitutto l’interesse di colui che è il padre del genere horror per l’Oltre, per un qualcosa cioè che va infinitamente più in là della nostra comprensione razionale, l’influenza di una verità cosmica che può prendere possesso del corpo umano e del suo destino e che si manifesta nei luoghi più impensati attraverso le forme della degenerazione, spesso tra i reietti, nelle azioni e nei riti officiati, finanche nel corpo (porta privilegiata) del sorcerer, nelle vesti di un orrore che giunge a noi mediante “segreti che ci sono stati preservati da antichi e misteriosi culti“. È un pensiero, con una forte carica gnoseologica, che mette in discussione ogni visione logico-razionale tradizionale della Realtà. Si tratta in pratica di una nuova cosmogonia, che Corradi sintetizza mirabilmente con queste frasi: “Siamo, in parole più semplici, la porta per l’oltre, l’ignoto che fummo e saremo, nel presente. V’è un mostro dal trifario occhio fiammeggiante e le ali nere, dentro di noi, occulto, in agguato: noi siamo gli alieni. Porte pericolose che attraverso la materia sognano aperture sull’antimateria. Eterni, effimeri varchi per l’Essere Vasto essenza forma che, attraverso la nostra geometria, sogna una forma impossibile, per misurare l’infinito.” È un Oltre che Lovecraft, in primo luogo, si sforza di far percepire al lettore tramite un uso ben preciso della prosa letteraria, oggetto di esame nella parte successiva del saggio.

A seguire, infatti, Corradi ci propone un’analisi lessicale e sintattica molto dettagliata della lingua de La chiamata di Cthulhu e del Necronomicon (proponendo di entrambi la lettura approfondita di alcuni paragrafi), lingua volutamente arcaizzante, ricca di aggettivi, di riferimenti, di resoconti scientifici (questi ultimi forniti con loro peculiari modalità stilistiche e narrative, ci dice Corradi, cioè con un accumulo che mira a conferire alla prosa “quella regolarità latente che trapassa la ragione, per parlare ai sensi più ciecamente corporei“) che ben esprimono il tentativo di razionalizzare ciò che non può essere razionalizzato, caratterizzata da un’onomastica innominabile e da formule rituali in un idioma ignoto che rende efficacemente l’incomprensibilità, per noi umani, del mondo “altro”, tutti elementi che insieme, alla fine, concorrono a comporre quelle che l’autore definisce una ipertassi e una ipersemantica realizzate da Lovecraft, che hanno molto in comune con la prassi autoriale di un suo grande maestro, Edgar Allan Poe (Corradi propone a tal proposito anche un confronto tra La chiamata di Cthulhu e il racconto di Poe The Fall of The House of Usher).

Molto chiare risultano anche le ulteriori sezioni, quelle in cui Corradi evidenzia i nessi esistenti tra il saggio Supernatural horror in Literature e il racconto La chiamata di Cthulhu, scritti da Lovecraft nello stesso anno (1926) a poca distanza l’uno dall’altro, da cui capiamo come La chiamata di Cthulhu sia il testo in cui meglio si concretizzano la realizzazione di una architettura narrativa impersonale tramite la tecnica del resoconto e la costruzione di una “trappola architettonica per il lettore, basata sull’ipnotismo in prosa , sulla prosa ipnotica” di cui sopra.

Nella terza parte, anche questa molto articolata, l’autore ci spiega invece cosa sia ciò che nel Necronomicon viene definito lo “spazio esterno”, l'”outside”, per illustrare il quale passa in rassegna le diverse concezioni dello spazio-tempo sviluppatesi nel corso della storia del pensiero umano, dimostrando come Lovecraft attinga il meglio da tutte queste Ere-Visioni. In questo caso Corradi giunge a proporre quello che chiama un “Principio di Cosmosi”, secondo il quale assurgono a base dell’analisi della realtà proposta da Lovecraft sia la scrittura dalla parte dell’autore sia la lettura da parte del lettore: “tale analisi si configura come una riscrittura del reale, o ridefinizione del mondo“, a cui lo scrittore dà avvio, appunto, con la scrittura-resoconto.

È però il dizionario posto a seguire, casomai il lettore avesse ancora dei dubbi, a fornire un’ulteriore prova della validità di questo saggio: più di ottanta, preziosissime pagine, in cui Corradi passa al setaccio la lingua dello scrittore di Providence, spiegandoci l’etimo, la ricorrenza, il valore dei termini più significativi dei suoi testi e permettendoci in questo modo di cogliere ulteriori rimandi e significati simbolici che altrimenti non coglieremmo, sottolineandone dove necessario la difficoltà ricercata, l’intenzionale, ossessiva ripetizione che risponde ai presupposti filosofici esposti più sopra (“i termini sono scelti per descrivere e identificare precisamente, univocamente, dimensioni ed entità oggettive, scientificamente misurabili e che pure esulano dall’umana misurazione, ed evocano, nel loro comporsi e ripetersi, quella vista letteraria che sola le travalica, suggerendo iper-simboli che superano i meri significati denotativi e connotativi, per darci la misura di una iper-semantica: straniamento weird, esternalizzarsi del senso umano in un cosmo meccanico, insensato.“)

Vi scopriamo allora, tra le tante cose proposte, che la Brown University di Providence (dove oggi sono conservati i manoscritti autografi di Lovecraft), con tutti gli accademici, i professori e gli specialisti che ne fanno parte, viene spesso menzionata nelle opere del nostro per evocare “un’umanità per eccellenza esprimentesi tramite le forme di un elevato intelletto, in definitiva un’umanità che riesca a toccare con mano l’impersonalità della scienza“; che la genesi del termine Cthulhu, nome del Grande Veglio, immenso signore della città cadavere di R’lyeh, attinge ipoteticamente a molteplici lingue e culture (greca, araba, cinese..); che la scienza “già opprimente con le sue scioccanti rivelazioni” è per Lovecraft “forse l’ultimo sterminatore della nostra specie () poiché la sua riserva di incongetturabili orrori non potrebbe mai essere sopportata da cervelli mortali se venisse liberata sul mondo“; che la melmosa, emergente R’lyeh de La chiamata di Cthulhu, cioè la Roma dei morti filtrati dalle stelle, la Troia di strati sommersi, che demonica risurge, altro non è che New York, richiamata per “fonetizzazione blesa, onirica“.

Si tratta, in estrema sintesi, di un saggio notevole, ricco di spunti e di chiavi di lettura, utilissimo per districarsi nel labirinto stilistico e nell’immaginario di Lovecraft tanto da poter essere impiegato come manuale per approfondire la comprensione di ogni suo testo, da cui risultano evidenti i risultati di un studio approfondito ed estremamente accurato ma anche l’amore sincero di Corradi per le opere di questo scrittore.

Recensione apparsa su Lankenauta.it

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