Binari

  Con il suo Binari, opera prima edita da Terrarossa Edizioni nella collana Sperimentali, Monica Pezzella ci regala un romanzo, al tempo spiazzante e sorprendentemente convincente, in cui la voce (o meglio Voce, come chi ha già letto il libro capirà) e la modalità con cui questa voce si esprime e avvince il lettore svolgono un ruolo assolutamente primario, caratterizzante l’intera narrazione, con l’esito niente affatto scontato di dar vita a uno stile del tutto singolare, che ben esprime il taglio dolente e carnale, travolgente, della storia proposta, così fortemente intrisa di aspetti corporei e materiali, che è in sostanza un declinare la relazione omoerotica nata tra i protagonisti nei termini di una schiavitù passionale.

Al centro dell’azione narrativa abbiamo Marcel, un architetto che ama le simmetrie e le cattedrali, i cui giorni, tra lavoro e relazioni sentimentali più o meno occasionali, paiono procedere tranquillamente, per lo meno fino all’incontro con Ale, un giovane dalla vita disinvolta e movimentata (“un ragazzo alto e slanciato con i capelli scuri e un po’ scarmigliati davanti in un completo grigio, gli occhi chiari pietosamente smarriti, le mani nelle tasche”), con il quale sembra trovare a prima vista l’agognata felicità o qualcosa che in fondo le somigli. È a questo punto che l’attrazione fisica e ormonale che nasce tra i due prende piede con un impeto devastante, al di là di ogni possibile previsione, inducendoli a perdere il controllo (Marcel vuole che Ale “non gli dia pace che non lo lasci dormire che non lo lasci lavorare che gli tolga il tempo che si prenda il tempo che lo rubi a tutto il resto. Vuole l’unica cosa di cui dice di aver paura. Perdere il controllo.”) e spingendo Voce a una narrazione tormentata e dolente, acuta e lancinante, fortemente connotata dall’accumulazione (“e non serviva chiudere a chiave se tanto sperava sempre che entrasse in qualche modo, bussasse piano forte o da ira di dio, insistesse, gridasse, ridesse, piangesse, seducesse, implorasse, impazzisse, in qualche modo a modo suo,“) e ben resa da un monologo interiore appassionato che è l’esatto equivalente di un desiderio incontenibile che straborda da ogni orizzonte costituito, da un discorso potenzialmente riconducibile a una sintassi regolata dalla logica dell’interpunzione, come pure dalle ordinarie categorie di spazio e tempo, proprio come accade quando – schiavi della passione o di una qualsivoglia dipendenza – le cose perdono i loro confini abituali, con un effetto di consunzione finale che rende impossibile definire con precisione persino i personaggi e la loro relazione sentimentale (come l’identità di Voce).

È una schiavitù della carne e della mente che, introdotta nel romanzo dall’architetto Dareh, un collega di Marcel che non ha remore nel definire l’esperienza amorosa come un qualcosa di non rinvenibile nei libri ma da cercare nella fisica: “Tachicardia, insonnia, perdita di peso, lacrime. È un’equazione matematica” – come l’amore, a un tempo ultraterreno ed ormonale, da lui provato per Dio mentre contemplava un crocefisso visto in una chiesa dell’Emilia – viene narrata dall’autrice con termini crudi e senza infingimenti (“Ma quando va in camera da letto e se lo trova sulla porta lo raggiunge gli asciuga il sudore passandogli il dorso della mano sul collo gli porta il dorso della mano alle labbra vuole che lo prenda in bocca dovunque che gli prenda le dita le orecchie le spalle il cazzo qualsiasi cosa purché si ritrovi dentro la sua bocca“), specchio fedele di una passione che logora le fibre del corpo dei protagonisti fino allo sfinimento (“Cristo santo, non vuole venire. Ale gli infila una mano tra le gambe Marcel torna subito a voltarsi dall’altra parte e sollevare un poco la schiena per darglielo in bocca ma Ale lo prende prima tra le mani e «Voglio farti impazzire» dice“) e che ha come obiettivo ultimo il perdersi definitivamente, senza possibilità di ritorno o di redenzione, soluzione che sembra stridere ancor più se conosciamo la propensione di Marcel per le simmetrie e per l’armonia, per l’equilibrio delle proporzioni, ormai esplose e frantumate con la frequentazione di Ale.

Anche l’esito, di per sé imprevedibile, pare suggerire che, soprattutto in materia amorosa e passionale, in un campo cioè in cui la razionalità poco può fare e molto poco ha da dire, nulla può essere spiegato con i crismi di una logica elementare o ricondotto a una grammatica convenzionale, e vani sono i tentativi che si susseguono, che vorrebbero segnare i confini o colmare i vuoti, le distanze, come il cambiare direzione al treno sui binari con la speranza che possa mutare corsa (“Tu intanto sai solo che ti stai muovendo su un binario, all’interno di un segmento, on hai un tempo determinabile, puoi andare avanti o indietro quante volte ti pare, far cambiare direzione al convoglio, smontare, rimontare, spostarti in tutti quegli istanti rinchiusi e rimescolare.“) quando ormai le cose pendono da una sola parte (“E allora l’aveva pensato. Razionalmente. Come si mettono i pesi sui piatti della bilancia e si vede pendere il braccio da una parte ed è quella sbagliata ma che ci puoi fare sta pendendo veramente di là. Contro ogni previsione, contro ogni aspettativa, contro ogni speranza“). Ne vien fuori un forte senso di straniamento, accentuato dal cambiamento dell’ordine delle sequenze dell’intreccio (il romanzo inizia con la fine e finisce con l’inizio), dovuto all’incapacità o impossibilità sopravvenuta di ristabilire un ordine del senso persino nella memoria.

L’impressione che resta a fine lettura è quella di essere di fronte a un romanzo che sorprende e che convince, forte di una scrittura che ama osare ed innovare, intraprendere con coraggio nuove strade, che chiede spesso la complicità del lettore che, immerso nelle evoluzioni introspettive di questo monologo interiore per certi aspetti fluviale e ipnotico, ha però la possibilità di mettersi in gioco abbandonando le proprie certezze e, perché no, i propri pregiudizi, per approfondire la comprensione di sé e del mondo che lo circonda. È l’esordio di un’autrice che sembra già avviata verso un percorso del tutto personale, in grado di esibire una voce inconfondibile. A Terrarossa Edizioni va il merito di averle dato fiducia e di averne riconosciuto il talento e le potenzialità.

Articolo apparso su Lankenauta.

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